L’esposizione alla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati prende il titolo dalla suggestione di una collezione di poesie di Giuseppe Ungaretti (“La luce. Poesie 1914 – 1961”), illustrato nel 1971 da tredici litografie a colori di Piero Dorazio. Tema del confronto tra Giacomo Balla e Piero Dorazio è la luce, in un racconto visivo affidato a quarantasette opere create attorno a due date: il 1912, anno in cui nascono le “Compenetrazioni iridescenti” di Balla e il 1960 per le ben note “Trame” di Dorazio.
Le “Compenetrazioni iridescenti” nascono nel volgere di pochi mesi – tra il luglio e il dicembre del 1912 – durante un soggiorno di Giacomo Balla a Düsseldorf, ospite nella villa di famiglia Löwenstein. Invitato a decorare lo studio della casa affacciata sul Reno, Balla dedica parte del suo tempo a sperimentare, quasi in segreto (di questi lavori se ne avrà piena coscienza solo verso gli anni Cinquanta), una nuova idea di pittura, che nasce certamente dall’osservazione della natura e dei fenomeni luministici ma che trova di fatto svolgimento in una pittura di inediti reticoli a pattern triangolari, che formano sequenze autonome, articolate in composizioni astratto-geometriche anticipatrici per l’epoca in cui Balla dipinge. Su fogli di un semplice bloc notes l’artista si esercita sulla possibilità di catturare i misteri dell’iride e la complessità delle rifrazioni luminose: con rigore scientifico – matite colorate, tempera e acquarelli alla mano – disegna un repertorio con enne possibili varianti di geometrie triangolari, a nastro o sferiche, di fatto la rappresentazione dell’anatomia della luce. È un esercizio capace di catturarne l’invisibile e liberare gli atomi finissimi dei timbri dell’arcobaleno: dal rosso, all’arancio, al giallo, al verde, all’azzurro, all’indaco e violetto.
Le “Compenetrazioni iridescenti” sono piccoli capolavori dipinti su carta, alcuni su tela, rarissimi per numero e qualità; indiscutibilmente rappresentano una tale novità nella ricerca di Balla da meritargli il titolo di antesignano dell’astrattismo. In mostra sono esposti oltre venti esemplari, provenienti da prestigiose collezioni private e museali, come la Galleria d’arte Moderna di Torino e il Mart di Trento e Rovereto.
Da questo straordinario nucleo di lavori trae stimolo e suggestione, a quasi cinquant’anni di distanza, il giovane Piero Dorazio, tra i primi a comprendere la novità degli studi di Balla. Le sue grandi tele, con il titolo “Trame” e dipinte tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60, fitta di materia-luce e costruite con linee incrociate irregolari, ombre e luci che occhieggiano tra i triangoli del pattern della trama ribadiscono quanto la sua sperimentazione sia vicina a quella di Giacomo Balla. È una tessitura, quella delle “Trame”, risultante da un fitto reticolo di linee- colore verticali, orizzontali e diagonali, tratti eseguiti con la mano leggera, secondo un registro di colori primari e complementari nelle combinazioni dell’iride e tra loro in stretta successione: creano nell’occhio la sensazione di una linea, di fatto inesistente perché frutto di una correzione ottica.
Il ciclo – di cui in mostra sono presenti oltre venti esemplari, realizzati tra il 1959 e il 1963 – è ricco di molte varianti e cambiamenti, principalmente legati al grado di luminosità del colore, alle interferenze percettive tra fondo e superficie e, anche, alla relazione spazio-tempo.
Molto significativi, in questo senso, quei lavori in cui il reticolo si spezza, si interrompe, cambia di netto registro cromatico, come in “Time blind” (1963), o ancora in “Tenera mano” (1963): qui la smagliatura della trama mostra la struttura interna del quadro evidenziando la tecnica di esecuzione e diventa, come suggerisce Dorazio stesso, luogo di “una illuminazione imprevista della coscienza, un modo di visualizzare l’attimo fuggente”.
Tra i diversi punti di contatto tra Dorazio e Balla, la sperimentazione delle “Trame” e delle “Compenetrazioni” occupa una parentesi temporale breve nel percorso di ciascuno degli artisti. Eppure, nella prospettiva di una continuità della linea dell’arte moderna italiana tra avanguardie storiche e pittura del Secondo dopoguerra, la contiguità davvero speciale di queste esperienze rimane un tassello di grande importanza.
L’allestimento della mostra, progettato da Mario Botta, sottolinea le differenze e le affinità dei due linguaggi artistici attraverso un’idea nuova dello spazio espositivo, ridisegnato per accogliere e valorizzare al massimo queste opere: i lavori di Balla sono sospesi in nicchie bianche, in uno spazio vuoto che li rende preziosi; quelli di Dorazio, di grandi dimensioni, sono invece presentati su ampie superfici nere, che permettono un’efficace fruizione e un rimando percettivo e visivo continuo alle opere di Balla.
“Dove la Luce” è dal 24.09 al 14.01 presso la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati.
Maggiori informazioni: collezioneolgiati.ch