“Esisteremmo senza memoria?” – Intervista a Cinzia Morandi

“L’arte della memoria” è una performance teatrale del Teatro Pan in scena il13 e il 14 gennaio al Teatro Foce nell’ambito della rassegna Home. Ne parliamo con Cinzia Morandi, che interpreta lo spettacolo insieme a Nicola Cioce per la regia di Sissy Lou.
10 Gennaio 2023
di Silvia Onorato
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“L’arte della memoria” è uno spettacolo che si interroga sul funzionamento, sul significato e sulla portata identitaria della memoria: come essa ci influenza nella vita quotidiana, come viene evocata, e come un ricordo personale possa riverberare negli altri, diventando universale. Nel parliamo con Cinzia Morandi che interpreta lo spettacolo insieme a Nicola Cioce per la regia di Sissy Lou. 

Come è nato lo spettacolo?
Inizialmente abbiamo pensato di entrare nelle case anziani, intervistare gli ospiti e raccogliere del materiale. Abbiamo condotto questa ricerca nello scorso mese di luglio, presso la casa anziani Cinque Fonti. Il materiale che abbiamo raccolto è stato utile non tanto per scrivere il testo, quanto riflettere su cosa significhi ricordare. Per far affiorare ricordi occorre creare un ambiente favorevole; ci vuole del tempo prima che qualcuno si racconti e condivida ricordi personali. Inoltre chi ascolta associa i propri personali ricordi creando un rimando continuo. Il lavoro fatto con gli anziani ha aperto diversi cassetti per affrontare il tema della memoria, indubbiamente vasto e complesso. Esistono tanti tipi di memoria: quella emotiva, sensoriale, e quella indiretta. Abbiamo riflettuto su quanto la memoria di esperienze che non abbiamo vissuto in prima persona possa influenzare il nostro agire nel presente. Spesso quando si ricorda si salta da un episodio a un altro, la memoria “salta”. Partendo da queste riflessioni, insieme alla regista Sissy Lou, abbiamo voluto costruire uno spettacolo che funzionasse come il nostro cervello quando ricorda. Senza la pretesa di afferrare e rendere lineare una funzione che non lo è, abbiamo scritto uno spettacolo che assomigli più a un sogno.  Ripensandolo si fatica a ripercorrerlo, succedono eventi apparentemente sconnessi tra di loro. Allo stesso modo nello spettacolo si susseguono frammenti di ricordi personali, non oggettivi, a cui si aggiungono particolari che ci sembra di aver vissuto, ma di cui non siamo completamente certi.

Due attori sul palco, lei insieme a Nicola Cioce. Come rappresentate la memoria sul palco?
La presenza in scena di un maschile e un femminile non è legata tanto all’identità biologica, quanto alla complementarietà di yin e yang, le due facce della stessa medaglia. Due personaggi stralunati, non reali, che pensano in modo diverso, che interagiscono in modo aperto e giocoso. Due personaggi immersi in una nebbia onirica che non appartengono a un tempo specifico. Due osservatori del tempo che scorre.

Perché lo spettacolo è “una ricetta della memoria”?
Ci sono vari ingredienti che compongono la memoria, in primo luogo – e in modo molto potente – i cinque sensi. La natura molteplice della memoria ci ha fatto pensare alle ricette di cucina: ogni piatto è costituito da diversi componenti sensoriali che vengono registrati, anche senza volerlo, come insegna Proust con la Madeleine, è una delle memorie più potenti che ci invadono e che immediatamente fanno affiorare ricordi.

Una delle riflessioni dello spettacolo parte dalla domanda “esistiamo senza memoria?” Cosa ne pensa?

Penso che senza memoria sia difficile esistere. Noi esseri umani siamo dotati di un cervello che funziona in un certo modo, ma è anche difficile da gestire. Ricordare è una delle funzioni più importanti. Ne abbiamo parlato con gli anziani: ricordare serve a non fare gli stessi errori più volte e, al contempo, non è detto che non vengano più commessi. La nostra riflessione non si è spinta nel delicato ambito delle malattie che colpiscono la memoria; l’obiettivo è stato invece indagare su quello che accade quando si racconta qualcosa di sé.   

Come hanno reagito le persone che avete intervistato?

La casa anziani è un contesto in cui si vive in modo più limitato rispetto ad altri. All’inizio non è stato facile porre domande, in quanto temevamo di aprire delle ferite sul presente. Ricordo di aver chiesto a una persona “cosa ne pensa?”, e la risposta è stata “io non penso, è meglio non pensare”, a volte è meglio dimenticare. Tante persone sono state contente di raccontare qualcosa di sé poiché spesso i ricordi riportavano all’infanzia e ai genitori. Questo ci ha dato una certa emozione, una gioia. È stato terapeutico e arricchente per tuttə.

“L’arte della memoria” è in scena il 13 e il 14.01 alle ore 20:30 presso il Teatro Foce.
Maggiori informazioni: foce.ch

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