Intervista a Cosimo Filippini, fotografo e artista visivo

Cosimo Filippini (Lugano, 1979) nel 2004 si laurea in Economia per l'arte, la cultura e la comunicazione presso l'Università Bocconi di Milano, dove due anni più tardi si diploma in pianoforte presso il conservatorio Giuseppe Verdi. Dal 2006 si dedica alla fotografia, collaborando inizialmente con il fotografo di arte e architettura Václav Šedý, con cui ha approfondito l'uso del banco ottico. Dal 2010 si specializza nella fotografia di artisti, mostre e opere d'arte, lavorando con numerose gallerie, istituzioni e artisti.
14 Dicembre 2021
di Silvia Onorato
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Cosimo Filippini
Foto: Laura Maltese

Il contatto con questo contesto lo spinge a riflettere sul proprio lavoro e ad intraprendere la pratica artistica facendo mostre in Svizzera e in Italia. Nel 2018 ha partecipato a una residenza d’artista in seno al progetto Viavai+, con una borsa di ProHelvetia, e ha partecipato alla residenza VIR – Via Farini in Residence, Milano. Nel 2020 è stato coinvolto in un progetto sul ritratto del Kirchner Museum Davos e ha tenuto la sua prima mostra personale presso un’istituzione pubblica, Casa Pessina, in collaborazione con il Museo d’arte di Mendrisio. Suoi lavori si trovano nella collezione del Museo d’arte di Mendrisio e nella collezione dello Stato del Cantone Ticino. I suoi ritratti e le sue foto sono inoltre stati pubblicati su numerose riviste e quotidiani cartacei e online svizzeri e internazionali. In occasione dell’apertura del nuovo spazio espositivo di Folini Arte a Lugano, espone nel Primo tempo del ciclo di mostre collettive intitolato Natura – Struttura, curato da Roberto Borghi.

Buongiorno Cosimo, la ringrazio per essersi reso disponibile a questa intervista. Quando ha scattato la sua prima fotografia?
Da bambino ho sempre avuto una passione latente per la fotografia, ricordo che in terza elementare ho partecipato a un corso di fotografia, nell’ambito delle attività scolastiche. Le lezioni si svolgevano in un’altra sede rispetto alla mia, in un’aula grande e spaziosa. Ricordo anche che, nel laboratorio di un fotografo a Molino Nuovo, ci avevano fatto stampare una foto a colori: un processo lungo ed elaborato. La prima fotografia in assoluto l’ho fatta in questo contesto, a 8 anni. I miei genitori, poi, mi hanno regalato una Yashica automatica, una macchina in cui bastava premere un bottone e tutto avveniva da sé. Nel giro di uno o due anni, questa passione è un po’ scemata. I risultati non erano particolarmente incoraggianti e mi sentivo un po’ smarrito di fronte a qualcosa che non comprendevo appieno. Il desidero di provare una macchina fotografica professionale, per molti anni è rimasto solo un’idea. La prima vera foto l’ho scattata dopo la laurea, quando ho preso in prestito l’Olympus di mio padre. È stato un bel momento, in cui vivevo a Milano con mio cugino (il cameraman e direttore della fotografia Ariel Salati) che frequentava la scuola di cinema. Insieme a lui seguivo qualche lezione e, nei momenti liberi, divoravo film e mostre fotografiche. Contemporaneamente facevo da assistente in uno studio fotografico.

Due professioni e due mondi: la fotografia tecnica da un lato, la pratica artistica dallaltro. Ci racconta come è avvenuto il passaggio dalluno allaltro?
Sono cresciuto in una famiglia di artisti e musicisti. Mio nonno era il pittore e scrittore Felice Filippini e mio padre, Rocco Filippini, un violoncellista. Fin da ragazzo sentivo che la mia strada sarebbe stata quella della musica. E così è effettivamente stato: dopo il diploma in pianoforte ho svolto un’attività professionale che è durata una decina di anni, in particolare nell’ambito della musica da camera. Anche considerando il mio cammino musicale, non avevo mai pensato di intraprendere una pratica nell’ambito dell’arte visiva. La fotografia era una passione collaterale che, un po’ per caso, si stava trasformando in modo molto graduale in una professione. Dopo il 2005, dei miei compagni di università erano diventati giornalisti. Riuscivamo a vendere i nostri reportage ad alcune riviste, come Marie Claire e Vanity Fair. Seguire Václav Šedý era stata una bellissima opportunità, ricordo delle giornate in cui lo assistevo nel suo lavoro documentativo presso la Fondazione Arnaldo Pomodoro di Milano. Questo mi aveva dato la spinta a contattare diversi artisti, iniziando a fotografarli. La questione artistica si poneva in modo molto sporadico, fino a quando un viaggio ha cambiato il destino della mia vita. Era il 2011 e sono partito insieme a Daniele Nicolosi (un artista noto anche come Bros, in quegli anni molto attivo nella street art) per un viaggio di tre mesi in Italia, durante il quale abbiamo lavorato sul paesaggio. Questa esperienza è stata il punto di partenza di un nuovo cammino, e ha anche determinato le riflessioni che sono alla base della mia pratica artistica.

Cosimo Filippini, Natura-Struttura #1, 2021, Folini Arte, Lugano
Cosimo Filippini, Natura-Struttura #1, 2021, Folini Arte, Lugano

Nella sua professione di fotografo tecnico ritrae opere darte e artisti. Quali sono le sfide di questa professione?
Nella documentazione di opere d’arte, la sfida è quella di dare la giusta leggibilità. In base alla qualità del lavoro e alle sue caratteristiche come la tecnica e l’ambito, si possono usare approcci documentativi diversi. Normalmente la sfida è quella di trovare la combinazione giusta fra il punto di vista e la luce adatta: qualcosa che si impara anche con l’esperienza. Nel documentare il lavoro di artisti viventi, ho sperimentato che ognuno ha le sue idee, a volte anche radicalmente opposte.
Per quanto riguarda il ritratti, invece, me ne sono occupato solo incidentalmente, incominciando a fotografare i musicisti; solo in un secondo momento ho iniziato a fotografare gli artisti nei loro atelier. Spesso agli artisti non interessano le foto “belle”, posate, bensì degli scatti che ne valorizzino il lavoro o la personalità.

Qual è stato l’incontro più sorprendente che ha fatto?  
Nel campo della musica, senz’altro quello con Maurizio Pollini, uno dei più grandi pianisti viventi. Ho avuto l’opportunità di fotografarlo tante volte e per diverse occasioni, tra cui per le copertine di una decina di album realizzati per Deutsche Grammophon, la sua casa discografica. Nell’ambito dei professionisti dell’arte visiva, invece, è l’esperienza generale di entrare in contatto con tante figure, ognuna con un tipo diverso di lavoro, che mi sorprende e mi arricchisce. In Ticino, da molti anni collaboro con Ivo Soldini: una personalità prorompente.
Un’altra esperienza che mi ha toccato l’ho avuta entrando in contatto con il mondo di un artista che, purtroppo, non ho potuto conoscere di persona, Giò Pomodoro, che è scomparso nel 2002. Recentemente infatti ho avuto l’occasione di andare nella sua casa di Querceta, in Versilia, e fotografare le sue sculture per il catalogo generale. In quel luogo, la sua personalità vive ancora attraverso le sue opere, affiancate le une alle altre.

In che modo lo strumento della fotografia si rapporta ai mezzi espressivi di pittura e scultura?
Che cosa rende un quadro quadro, o una scultura scultura? La risposta più semplice, che tutti noi abbiamo in mente, si rifà all’accezione comune, legata alla tradizione della storia dell’arte. Un quadro è un oggetto bidimensionale in cui c’è un supporto dipinto, la scultura è quella cosa tridimensionale scolpita o lavorata, in pietra, bronzo e legno. Già da tempo, con l’evoluzione dell’arte che si è verificata nel Novecento, questi concetti sono cambiati. Oggi non c’è per forza una corrispondenza diretta fra le diverse discipline e le tecniche, ma è l’idea dell’artista a determinare l’ambito in cui si svolge il suo lavoro. Un lavoro di pittura, ad esempio, può essere realizzato a mano, fatto da un robot, stampato con della vernice, realizzato digitalmente o esistere solo virtualmente. Il mio lavoro nasce utilizzando la fotografia come uno strumento per confrontarmi con altri ambiti delle arti visive, come il disegno, la pittura e la scultura. La stampa fotografica diventa un oggetto in cui la superficie stampata vuole farsi, di volta in volta, volume o segno, dialogando con i lavori di scultura e di pittura. 

Cosimo Filippini, Lago Pantone, 2018, MARS, Milano
Cosimo Filippini, Lago Pantone, 2018, MARS, Milano

In occasione dell’apertura del nuovo spazio espositivo di Folini Arte a Lugano, espone nella mostra collettiva “Natura – Struttura” alcune sue opere. Qual è la natura che ritrae? 
Dettagli di cumuli di ghiaia e alberi sospesi nel cielo. Ma la natura in realtà è un pretesto: queste opere non hanno come soggetto la natura in sé, bensì due riflessioni: quella sulla forma della materia, relativa alla scultura, e quella sul segno, relativa al disegno, alla pittura e all’incisione.

Infine, lei è diplomato al conservatorio in pianoforte e ha svolto la professione di pianista. C’è della musica nella sua arte?  
Qualche pensiero in questa direzione l’ho fatto, anche se non sono ancora arrivato a produrre un lavoro vero e proprio.

Le opere di Cosimo Filippini sono in mostra presso la Galleria Folini Arte nellesposizione collettiva Natura Struttura. Primo tempo, insieme a quelle di Vincenzo Cabiati, Valentina D’Amaro, Roberto Fanari, Paolo Gioli, Debora Hirsch e Francine Mury.  L’esposizione nei nuovi spazi della Galleria è visitabile dal 13 novembre 2021 al 29 gennaio 2022.
Maggiori informazioni su foliniarte.ch

La Galleria Folini, a Chiasso dal 1998 e il 2012, ha da poco inaugurato la nuova sede luganese con una mostra curata da Roberto Borghi, dedicata al rapporto tra le categorie estetiche di natura e struttura, fili conduttori del percorso ventennale della galleria. La prima fase è incentrata sulle possibili accezioni del termine natura nelle opere di figure che appartengono alla storia di Folini Arte (Cabiati, Fanari, Gioli e Mury) in dialogo con quelle di artisti che la galleria presenta per la prima volta al suo pubblico (D’Amaro, Filippini e Hirsch). Il secondo tempo, previsto da febbraio ad aprile 2022, proporrà lavori focalizzati sulla dimensione-struttura di Giuliano Collina, Marco Grimaldi, Luca Mengoni, Jaime Poblete e Italo Valenti.

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