Com’è nata la tua passione per l’arte?
La passione è nata quando ero bambina. Sono sempre stata una sognatrice, con molta immaginazione. Mi piaceva disegnare e utilizzare colori. Quando sono cresciuta, avrei voluto iscrivermi all’Accademia di Belle Arti di Città del Messico, ma non sono stata incoraggiata perché mi dicevano che con quella formazione avrei fatto la fame. Così mi sono iscritta al Politecnico ed è proprio lì che, seguendo i corsi opzionali di Arti plastiche, ho imparato le prime tecniche. Mi sono resa conto che la pittura era ciò che desideravo fare. A 24 anni sono arrivata in Svizzera e in quel periodo ero autodidatta, ho viaggiato in Europa, visitato molti musei disegnando e dipingendo. Nel 1999 mi sono iscritta all’Accademia delle Belle Arti di Brera per approfondire sia la Storia dell’arte e le materie teoriche, che per imparare nuove tecniche.
Come hai capito poi che quella era davvero la tua strada?
Le conferme del percorso intrapreso sono arrivate man mano. Nel 2003 ho superato l’esame di laurea con 110 e lode e l’anno successivo ho vinto il premio Lissone. Un riconoscimento che mi ha toccato, perché non sono originaria di qui, è quello di essere stata inserita nel Dizionario sull’arte in Svizzera. La Svizzera è stata una terra di opportunità. A volte si parla dell’emigrazione in maniera poco positiva. Penso che quando sei ben accolto in un paese straniero anche tu dai il meglio di te, o almeno per me così è stato.
Una delle tematiche ricorrenti nelle tue opere è quella del corpo umano. Come mai?
Sono conosciuta perché dipingo la figura umana maschile. Studiando la Storia dell’Arte mi sono innamorata dei maestri del Rinascimento, attraverso le sculture di Bernini, i dipinti di Caravaggio… è stato amore a prima vista. Ciò mi ha spinto a dipingere la figura umana in maniera tridimensionale. La sfida era quella di rappresentare il corpo umano guardando ai Maestri del passato, ma con un tocco moderno. Dopo l’Accademia delle Belle Arti ho continuato, fino ad oggi, a perseguire questo mio progetto artistico.
Guardando le tue tele si è subito colpiti dall’utilizzo di colori molto vivaci. Ciò è legato anche alla tua cultura, in cui sono molto presenti questi colori?
Mi hanno fatto spesso questa domanda e ho iniziato a chiedermi anch’io quali fossero le ragioni. Inizialmente rispondevo “sembra che questi colori io li abbia dentro e che escano dalle mie vene per prolungarsi sul pennello e posarsi sulla tela”. Rientrando ogni anno in Messico, mi sono resa conto che la luce è molto forte e fa sì che gli oggetti siano molto luminosi e con molto contrasto. Questa luminosità è sempre nostalgicamente presente nella mia mente, si tratta di qualcosa di innato di cui sicuramente non posso fare a meno. Con la mia pittura desidero comunicare attraverso le emozioni, dando un piacere visivo. Inoltre per me è molto importante che l’arte visiva oltre ad avere un valore estetico, faccia riflettere.
Come vivi questo periodo particolare?
Gli artisti visivi come me sono spesso persone solitarie e quindi all’inizio è stato quasi un sollievo avere tutto questo tempo a disposizione. Naturalmente a lungo andare, con l’annullamento degli eventi e delle esposizioni è stato più difficile. Durante il lockdown alcuni hanno comprato le mie opere e in seguito mi hanno contattato per dirmi che dovendo stare maggiormente a casa, i miei dipinti davano loro conforto. Per me è stato molto toccante perché mi ha confermato che l’arte comunica, aiuta, dà conforto.
C’è qualche progetto che ti sta a cuore in questo momento?
Nell’ambito del mio percorso legato alla figura maschile, durante la pandemia mi sono messa a studiare l’arte realizzata dalle donne. Ho notato che quando mi chiedono quali sono gli artisti a cui mi ispiro penso a Caravaggio, Bernini… tutti maschi. Documentandomi mi sono resa conto che la Storia dell’Arte, è una storia maschile. Dall’anno zero fino all’inizio del ‘900 le donne sono praticamente assenti e ancora meno sono quelle che si sono dedicate alla figura umana. Ho trovato alcune donne inglesi, fiamminghe o delle popolazioni nordiche, ma per lo più legate al tema dei fiori o della maternità. Nessuna di loro però è conosciuta. Artemisia Gentileschi (ndr. 1593 – circa 1656) è sicuramente una figura di riferimento, però è praticamente la sola, fino a Frida Kahlo (ndr. 1907 – 1954) che inaugura potremmo dire un’altra era. Il mio grande progetto è di continuare la ricerca sul punto di vista femminile nell’arte. Invito coloro che desiderano approfondire questa tematica a partecipare all’incontro organizzato da Visarte Ticino.