E questi sono solo due degli ultimi lavori di Sir Taki (CH, 1988), artista le cui opere spingono chi vi si imbatte a provare un quieto disagio che provoca e ribalta le proprie concezioni della realtà. I suoi collages e le sue installazioni obbligano a vedere oltre in una società in cui siamo bersagliati di stimoli visivi sui quali raramente ci soffermiamo. Abbiamo incontrato Sir Taki per capire meglio la sua visione dell’arte e del mondo.
Non riveli mai il significato dei tuoi lavori, lasci che ognuno si faccia provocare e interrogare da essi. È importante per te conoscere il parere degli spettatori sulle tue opere?
Il dialogo con chi vede i miei lavori è molto spesso sorprendente. Sono affascinato da come ogni persona possa creare a sua volta un significato personale, intimo e indipendente dal mio desiderio di comunicare al mondo qualcosa. Nelle mie opere ci deve sempre essere uno spazio interpretativo puro e fuori dal mio controllo.
Con le tue opere – collages composti da più immagini unite da un taglio netto – hai spaziato in varie aree, ma Theresa è uno dei pochi lavori che hai realizzato nell’ambito dell’arte urbana: qual è l’aspetto che più ti interessa della street art?
Sicuramente l’atto performativo: la danza nervosa della spazzola zuppa di colla che gratta il muro. Ma anche il dialogo con i passanti curiosi. O ancora, il coraggio di abbandonare il mio lavoro in mezzo alla strada dove tutto può succedere, dove il giorno dopo tutto potrebbe essere stato distrutto. La natura effimera della carta mi ricorda l’immediatezza del mondo in cui viviamo.
Theresa ha un nome proprio, come tutti i tuoi lavori. Da dove nasce questo bisogno di dare un nome di persona alle tue opere?
Forse è un gesto istintivo che mi permette di tagliare l’invisibile cordone ombelicale che sussiste fra me e l’opera. Ricevendo un nome di persona i miei lavori possono rivendicare la loro autonomia come veri e propri individui capaci di interagire con lo spettatore. D’altra parte il nome è una finestra sulla storia della persona stessa, questo proietta a sua volta l’opera in una dimensione narrativa.
Nelle tue creazioni è centrale lo sguardo: occhi che vedono il mondo, che attraversano lo spettatore e lo obbligano a sua volta a guardare. Durante le nostre giornate, siamo bombardati da così tante immagini che finiscono per scomparire. Secondo te, come possiamo tornare a vedere davvero?
Tornando ad amare.
C’è qualche artista con il quale ti piacerebbe collaborare, anche idealmente?
Mi piacerebbe molto seguire il processo creativo e curare una mostra di collages realizzati da dei richiedenti l’asilo minorenni.
C’è qualche dimensione artistica che ti piacerebbe esplorare?
Durante un viaggio in Olanda nel 2020 sono rimasto colpito da un’enorme installazione di land art in cemento: Deltawork di RAAAF e Atelier de Lyon. Non posso negare che il rapporto fra uomo e natura tramite questo tipo di installazioni possa essere incluso nella mia ricerca creativa.
Pensi che la Svizzera sia terreno fertile per i giovani artisti?
Credo che il nostro Paese sia generoso con chi ha tenacia e perseveranza nel proprio lavoro. Mi piace pensare che siano gli artisti stessi a creare le proprie opportunità. L’arte non può dipendere dal Governo e dalle istituzioni pubbliche, gli artisti non sono dei funzionari.
C’è in previsione qualche novità per il 2021?
Uno dei progetti che tengo ad annunciare è la commissione di un’opera permanente che realizzerò il prossimo autunno sulla facciata del nuovo Cinema Lux a Massagno.
Sir Taki (CH, 1988), artista visuale, vive e lavora tra Losanna e Lugano. Dal 2014 realizza collages digitali, installazioni e video sperimentali. Dal 2015 scrive e dirige cortometraggi. Fra i suoi ultimi lavori, Lucia (2018), Thanaporn (2019) e Theresa (2020).