“La libertà di movimento” – Intervista a Donya Speaks

“Fino alla fine della pioggia” è uno spettacolo di danza e poesia creato dalla coreografa e danzatrice svizzero-tunisina Donya Speaks per celebrare la lingua araba. Lo spettacolo va in scena il 19 e 20 maggio al Teatro Foce nel contesto della rassegna Home. Incontriamo Donya Speaks.
11 Maggio 2023
di Silvia Onorato
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In tutta Europa l’arabo fa parte del paesaggio sonoro urbano; eppure la lingua rimane estranea e stigmatizzata per molti svizzeri. In “Fino alla fine della pioggia” Donya Speaks, coreografa e danzatrice svizzero-tunisina, si concentra sulle poesie arabe di suo zio Amor Sbika e sul contrasto delle loro vite. Con un team interdisciplinare e internazionale esamina la nozione di libertà di movimento e confronta le poesie – come finestre per le esplorazioni della mente – con lo spazio fisico. Insieme superano i confini tra danza, poesia e musica, nonché quelli linguistici e culturali. Una composizione di movimento, voce e immagine che invita il pubblico a dedicarsi a queste domande e ad abbandonarsi al suono di questa lingua poetica – per questo motivo, uno spettacolo aperto a tutti, a chi capisce l’arabo come a chi non lo parla. 

Come è nato lo spettacolo?
Il pezzo di teatro-danza “Fino alla fine della pioggia“ prende il titolo da una poesia e da una collezione di poesie di mio zio Amor Sbika, che vive in Tunisia ed è scrittore. Durante le mie visite alla famiglia, abbiamo iniziato a parlare delle sue poesie. In esse descrive spesso un cammino da percorrere, inciampando, cadendo e tuttavia continuando. Da un lato, parla della limitata libertà di espressione durante il regime di Ben Ali. Dall’altro, parla della sua immobilità fisica: soffre di una malattia muscolare, la sindrome di Segawa. Mi ha colpito il fatto che siamo entrambi artisticamente attivi: come danzatrice occupo lo spazio fisico, mentre lui, come poeta, occupa lo spazio dei pensieri. Così si crea un dialogo: tra due generazioni, tra due realtà di vita e privilegi. Inoltre è stato importante per me passare più tempo in Tunisia e cominciare lavorare nella scena della danza e del teatro a Tunisi. Parte importante del viaggio portando in scena “Fino alla fine della pioggia” è anche intrecciare legami con realtà locali: ci piace collaborare con artisti del posto (a Berna con musicista Jiwan Alkhalil, Basilea con Laila Moon, Biel con Nehad El-Sayed); questo si addice alla natura flessibile dello spettacolo. 

Lo spettacolo mette in scena la lingua araba. In che modo la lingua è protagonista?
La lingua araba e le persone che la parlano sono ancora soggette a molti stigmi in Svizzera e in Europa; ho voluto dare spazio a questa lingua poetica. Il nostro spettacolo è come una lettura teatrale, poiché l’attore in scena, Abdelkader Ben Said, legge le poesie. Siamo consapevoli che solo pochi spettatori capiscono i testi: il nostro è quindi anche un invito a un’esperienza sonora e una sfida a prestarsi a non capire tutto. Giochiamo anche con la somiglianza tra il dialetto tunisino, lo svizzero tedesco e persino le parole italiane che provengono dall’arabo; il messaggio è che tutti siamo influenzati l’uno dall’altro e che una separazione non solo non è possibile, ma non ha neanche senso.

Sulla scena ci sono più forme d’arte: oltre alla recitazione, la danza e la musica. Perché è stato scelto un approccio multidisciplinare?
Ogni disciplina esprime un nuovo e diverso aspetto del tema. La combinazione di testo e danza era ovvia: l’attore tunisino Abdelkader Ben Said dà voce ai testi di mio zio, mentre io li traduco in movimento. Raphael Burger, pittore bernese che ha vissuto a lungo in Tunisia, dipinge linee sul pavimento e sulle pareti, facendo emergere una mappa surreale. Vogliamo mettere in discussione i confini e aprire nuove strade. Attraverso la musica si creano stati d’animo, si risvegliano ricordi e si fanno riferimenti a luoghi e tempi: così a volte sentiamo Mani Matter, a volte Fairouz e a volte rapper euro-tunisini come Bushido o Ghali. Amel Naffeti è una DJ di Tunisi e porta sul palco una generazione giovane e di ispirazione globale con il suo set.

Quali poesie vengono portate in scena?
In totale ci sono sei poesie e un canto: “Fino alla fine della pioggia” parla del costante tentativo di partire, andare avanti e nuotare controcorrente. “Chiedo ai luoghi e al tempo” è stata scritta da mio zio dopo la morte di mio padre, e parla della separazione e della solitudine. “Lingua mia” è dedicata alla bellezza della lingua araba. “Venite all’albero dell’ottimismo” fa appello alla coesione della comunità, nonostante le precarie condizioni di vita. “Canzone per la strada”, oltre a “Ricordare i re”, canta di rivoluzione e ribellione. “Non sono un’ombra” è una poesia d’amore alla speranza e alla conoscenza di sé.

Lo spettacolo esprime un messaggio di libertà. Come?
Nello spettacolo affrontiamo il tema della libertà di movimento da un lato a livello fisico, esplorando le nostre funzioni corporee. Dall’altro lato, si tratta della libertà di movimento a livello geopolitico: chi ha un passaporto tunisino non può muoversi nel mondo con la stessa libertà di chi ha un passaporto svizzero. Questo diventa chiaro quando dobbiamo richiedere il visto per i nostri colleghi tunisini, mentre i membri svizzeri del team possono viaggiare in Tunisia senza problemi. È ingiusto che ogni anno tanti svizzeri si rechino in Tunisia e quasi nessun tunisino ottenga il visto. Ma si tratta anche di libertà di pensiero: perché solo se osiamo immaginare un mondo più giusto possiamo camminare insieme fino alla fine della pioggia.

“Fino alla fine della pioggia” va in scena il 19 e 20.05 alle 20:30 nel contesto della rassegna Home.
Maggiori informazioni: foce.ch

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