Piuttosto che modificare l’hardware di base il duo lavora all’interno dei parametri per trovare infinite permutazioni visive da cui costruire immagini, animazioni e modelli generati. Nati entrambi nel 1975, l’amicizia tra Andreas e Sidi risale ai tempi della Scuola universitaria professionale ticinese, dove hanno fatto squadra per quella che sarebbe stata la prima di una lunga collaborazione: una tesi sulla comunicazione visiva.
Collaborate sin dal 2000. Com’è nata la vostra intesa artistica? Come è cambiata nel corso di vent’anni?
Abbiamo studiato insieme… ma di fatto ci siamo ignorati per praticamente tutto il periodo scolastico. Ciò che ci fece collaborare per la prima volta fu l’interesse comune per il lavoro di tesi. Dal 2000, ogni nuovo progetto che affrontiamo insieme è sempre diverso e di conseguenza il nostro sguardo su di esso è necessariamente nuovo. La nostra collaborazione dunque cambia sempre. Non abbiamo un approccio sistematico e nei vari progetti in cui ci cimentiamo non definiamo quale sia il nostro ruolo. Più recentemente inoltre, con l’aumento della complessità tecnica dei progetti, ci è capitato di coinvolgere anche professionisti o specialisti esterni.
Il vostro lavoro di tesi prendeva in oggetto il pensiero narrativo dei bambini. Cosa vi ha attratto di questa prospettiva?
Fu interessante tentare di capire i meccanismi della percezione nei casi in cui il cervello è in stato di sviluppo: sotto la guida di Bruno Monguzzi e Ivo Monighetti costruimmo delle immagini, animazioni e racconti che ci avrebbero in seguito permesso di verificare alcune ipotesi. Nell’elaborazione di quella tesi, tra le altre cose, riscoprimmo Sherlock Holmes: la nostra attenzione si era concentrata sulle strategie messe in atto da Conan Doyle nel costruire meticolosamente gli indizi, in modo da permetterne la deduzione da parte del detective e parzialmente dal lettore.
Le opere che create sono di arte digitale (video e computer), arte più meccanica (tabellone della stazione programmato), e arte statica, accomunate da sequenze in movimento, schemi che risultano animati anche da fermi. Cos’è il movimento, per voi?
Il movimento è una dimensione in più che ci permette di esplorare la combinatorica delle geometrie degli elementi utilizzati. In alcuni casi, come per esempio in “Zürich HB flap”, questo è stato l’unico parametro su cui siamo intervenuti; l’oggetto in questione (il tabellone) non è stato modificato formalmente, rimanendo così intatto.
Per i video utilizzate schermi a bassa risoluzione, delle griglie in cui create immagini complesse e in continuo cambiamento. Sembra quasi che il digitale possa accogliere in sé l’analogico?
Questa distinzione tra analogico e digitale non è sempre molto chiara. Degli schermi a bassa risoluzione, o più in generale delle griglie, quello che ci interessa sono sia la costrizione (formale) che offrono, sia le geometrie intrinseche che ne derivano.
Spesso queste tecnologie ormai arcaiche hanno dei limiti tecnici, cromatici o di risoluzione: tali limiti, una volta individuati, possono diventare la chiave per lo sviluppo del progetto. In sintesi il progetto nasce da queste costrizioni, mettendo in seguito bene in evidenza le peculiarità dell’oggetto preso in esame.
Guarda “Digits“
Alcune vostre opere “meccaniche” permettono al fruitore di fare una esperienza multisensoriale – penso al tabellone della stazione di Zurigo “Zürich HB Flap” in cui le tessere si spostano ritmicamente. Una esperienza non solo visiva, ma anche uditiva e tattile, se si pensa allo spostamento dell’aria. La vostra concezione di estetica coinvolge tutti i sensi?
Quando ne abbiamo la possibilità, cerchiamo di prendere in considerazione e di integrare nel progetto tutti gli effetti che il supporto può innescare a livello sensoriale. A dire il vero l’effetto di spostamento dell’aria nel pannello della stazione di Zurigo è stato una sorpresa e una scoperta anche per noi!
Il nostro intervento sul “Zürich HB Flap” è stato molto leggero (nonostante il pannello pesasse 13t). Come detto sopra, abbiamo deciso di non modificare forme o colori delle palette (flap); volevamo mantenere il suo stato fisico originale e trasformarlo unicamente sul piano del movimento. Abbiamo dunque riletto in chiave formale tutti nomi delle destinazioni e abbiamo cercato di ricostruire con essi una sequenza di scene formando così una coreografia.
Un’altra scelta è stata poi quella di portare il pannello a pavimento nello spazio espositivo, proprio per poter permettere allo spettatore di percepirne suono e movimento con maggiore intensità.
Guarda “Zürich HB flap“
Le vostre opere propongono anche una riflessione sulla semantica, con rimandi di significati linguistici e simbolici. Pensando a “Sei Lettere”, lo spettatore si trova a indovinare quale sarà la prossima parola creata dallo spostamento delle tessere, facendo un “salto” tra un significato e l’altro. È sempre necessario un significato, in arte?
Questi sei elementi teleindicatori alfanumerici trascrivono tutte le 2935 parole a sei lettere del dizionario di lingua italiana. La sequenza in “Sei Lettere” nasce dall’idea di ridurre al minimo i movimenti delle palette (flap) nel passaggio da una parola all’altra. La sequenza finale è stata ottenuta usando un’approssimazione dell’algoritmo del “commesso viaggiatore”.
Come vedi, non c’è stata nessuna interpretazione “poetica” da parte nostra relativamente alla sequenza delle parole. Il significato che si crea dalla successione è di libera interpretazione.
Guarda “Sei Lettere“
Nel 2021 avete realizzato un progetto intitolato “e-mail” in cui chiunque poteva inviarvi una email e ricevere come risposta automatica un disegno geometrico creato da un algoritmo. Quanta libertà aveva il vostro algoritmo? Quanta ne possono avere gli algoritmi, in generale?
L’algoritmo di “e-mail” è deterministico: produce il medesimo output per lo stesso tipo di input. Più in generale per gli algoritmi possiamo magari parlare di “spazio parametrico”, ovvero del numero e della profondità dei parametri presi in considerazione in grado di determinare il risultato. I nostri algoritmi di solito sono piuttosto semplici e quindi hanno uno spazio parametrico ridotto (poca libertà?). Molto spesso i nostri algoritmi si servono di contenuti costruiti “a mano”.
Andreas è stato selezionato da Visarte-Ticino per una residenza a Parigi, presso l’Atelier 1517. Cosa ti aspetti da questa esperienza? Quali sono i vostri prossimi progetti come Gysin-Vanetti?
Vivere in provincia ha alcuni vantaggi ma è necessario spostarsi continuamente per allargare il numero dei contatti e fare nuove esperienze.
Abbiamo una “to-do-list” lunghissima organizzata per anno che, invece di accorciarsi, tende a crescere… Ma la lista è anche un filtro naturale per molti progetti: non verranno mai realizzati e va bene così.
Andreas Gysin e Sidi Vanetti incontrano il pubblico il 12 aprile, dalle 18:30 alle 20:30, allo Studio Foce. Entrata libera, fino ad esaurimento dei posti disponibili. Possibilità di seguire l’incontro in Live streaming. Maggiori informazioni: foce.ch
Visarte-Ticino è un’associazione culturale che ha come scopo la divulgazione, la promozione e lo sviluppo delle arti visive nel cantone Ticino, in Svizzera e all’estero.
I Visarte-Talks hanno l’ambiziosa missione di esplorare il ruolo che gli artisti hanno nello scenario culturale contemporaneo locale e globale per poi continuare l’indagine ponendo particolare attenzione all’evoluzione dei personali metodi di ricerca degli artisti, come questi si rapportano alla formazione della memoria collettiva (percezione universale?), ma anche come vengono influenzati a loro volta implementando quel ciclo virtuoso che prende corpo nel nostro immaginario collettivo. I Visarte-Talks sono svolti in collaborazione con Agorateca Lugano e sostenuti dal Dipartimento della Cultura e dello Sport del Canton Ticino (DECS).