“Una storia di partenze” – Intervista a Romeo Gasparini, regista

“Effimero” è uno spettacolo di teatro d’attore, adattamento del classico “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry. Lo spettacolo andrà in scena al Teatro Foce il 20 agosto nel contesto della stagione estiva del Family. Ne parliamo con Romeo Gasparini, regista e drammaturgo della compagnia Studio MIRA.
11 Agosto 2022
di Silvia Onorato
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“Effimero” racconta la storia di un aviatore e di un fanciullo arenati in un terminal alla fine della Seconda Guerra mondiale, in attesa del loro aereo per il futuro. Un inedito adattamento de “Il Piccolo Principe” a cura della compagnia Studio MIRA di cui parliamo con Romeo Gasparini, regista, che insieme a Marina Basso ha curato la direzione artistica dello spettacolo.

“Il Piccolo Principe” è un racconto della letteratura del XX secolo, destinato a bambini e adulti. Da quali elementi della storia originale prende avvio lo spettacolo? 
Lo spettacolo si distacca in diversi modi dal racconto originale: in primo luogo, la collocazione spaziale non è il deserto o il cosmo, bensì un altro tipo di non-luogo, un aeroporto; la collocazione temporale appare simile all’originale, ovvero gli anni ’40, ma si sposta al periodo appena dopo la fine del conflitto – un periodo che Saint-Exupéry non ha vissuto, poiché morì nel 1943. Un periodo che in realtà è onirico e può essere considerato simbolico di un momento generale di smarrimento dopo la fine di un grande evento storico: la Seconda Guerra Mondiale, ma, ai giorni nostri, anche la crisi pandemica o il conflitto attualmente in corso (un riferimento non intenzionale, perché quando abbiamo cominciato a scrivere la drammaturgia la guerra non era ancora iniziata). Un momento che interroga: cosa ci aspetta dopo?

Ripartire dopo la fine di un grande evento storico appare come una occasione di esercizio della propria libertà. Come viene affrontato il tema della libertà?
Ogni personaggio combatte con il proprio desiderio di libertà, ostacolato dall’istinto di attaccamento al passato. Per esempio, con la fine del conflitto l’aviatore esce dal contesto militare e si appresta a entrare in quello civile, dove non ci sono più le rigide strutture che a lui davano forma; il fanciullo invece, abituato ad una vita libera, rifugge il rientro a casa, dove dovrebbe prendersi cura della sua rosa. Così come il custode, triste riflessione di ciò che l’Aviatore potrebbe diventare qualora rimanesse li, il sultano deposto, il divo dimenticato, il professore reietto, sono tutte facce della stessa incapacità di imporre il proprio volere, e a tratti il proprio bene, sul proprio essere. Questi ruoli che ognuno ha vestito per tanto tempo, hanno reso inappetibile la possibilità che nella vita ci potesse essere altro se non le proprie vecchie, usate, sbiadite, madide, palandrane. Libertà, infatti, non è solo partire ed affrontare qualcosa di nuovo; è anche abbandonare qualcosa di vecchio.

Protagonisti dello spettacolo sono un aviatore e un bambino proprio in attesa di partire. Qual è la loro destinazione?
Sulla scena, l’aeroporto, appariranno luci e si sentirà il rombo di aerei in partenza, a simboleggiare le occasioni mancate dai personaggi e a ricordar loro che stanno perdendo il loro tempo. L’aviatore e il bambino, personaggi appena arrivati in questo luogo, si confrontano con quelli che sono lì da anni e che non sono riusciti ad andarsene. Troveranno la forza di imbarcarsi? E dove andranno? La paura infatti sta anche nello scegliere la propria destinazione. Non voglio anticipare troppi elementi della storia; dico soltanto che ci sarà un lieto fine, con alcune partenze – alcuni personaggi vinceranno il proprio immobilismo e partiranno, ma non tutti, come accade nella vita.

Che cosa è “effimero”? 
Marina Basso e io abbiamo affrontato il racconto originale per un esame accademico; in questa occasione ci ha particolarmente colpito il passaggio in cui il principe chiede al geografo cosa significhi il termine “effimero”. La rosa è effimera, prossima a morire; la consapevolezza di questo conduce a una domanda: confrontati con la finitezza e la transitorietà di quello che facciamo e quello che siamo, ne vale la pena? Vale la pena di partire, di andare avanti, di muoversi; val la pena esercitare la propria libertà? Va tenuto presente che “Il Piccolo Principe” è un racconto esistenzialista, scritto da Saint-Exupéry ponendosi in continuità con pensatori francesi contemporanei come Sartre e Camus: tutti i personaggi fluttuano nel vuoto, anche i potenti. Ogni cosa finisce, anche quello che ci dava certezze: con la fine della guerra, l’aviatore deve trovare un nuovo posto nel mondo; con la fine dell’Impero Ottomano, il grande sultano non è più potente; con l’avvento del cinema sonoro, il vanitoso divo di Hollywood del cinema muto non è più popolare. La domanda sottotraccia è: come reagire alla fine delle cose? Ogni personaggio, come ogni spettatore, ha la sua risposta.

Il racconto di Saint-Exupéry contiene riflessioni profonde in un linguaggio simbolico che parla anche ai bambini. Questo aspetto si riflette nello spettacolo?
Durante la stesura del testo talvolta ho avuto alcune esitazioni, ma mi sono spesso confrontato con i miei tre fratelli minori – uno di loro reciterà la parte del principe – per avere un riscontro sulla comprensibilità. Alcuni elementi della storia sono spiegati in modo esplicito, altri invece sono facilmente decodificabili dai bambini (il sultano è una figura regale, senza bisogno di spiegarlo). In realtà, diamo troppo poco credito alla capacità dei bambini di capire le cose, e di vedere addirittura più di quello che possiamo vedere noi adulti; per esempio, dai confronti con mio fratello si sono aperti dei meandri sul testo che ho scritto. Tornando a Saint-Exupéry, “non è una cosa da grandi, è una cosa da piccoli”.

“Effimero” andrà in scena il 20.08 al Teatro Foce alle ore 20:30, nel contesto della stagione estiva.
Maggiori informazioni: luganoeventi.ch

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