Lucas Herzig (1988), ticinese di Pura, opera a Zurigo. Studia dapprima arte visiva alla Haute école d’art et de design (HEAD) di Ginevra, poi pratica artistica contemporanea alla Hochschule der Künste (HKB) di Berna. La scultura di Lucas Herzig impiega materiali poveri come cartapesta, legno di recupero, e terra rossa, e mostra spesso aspetti performativi. L’incontro si svolgerà mentre al MASI di Lugano (Palazzo Reali) è in corso la sua personale in occasione del conferimento del Premio Manor Ticino.
Quando hai iniziato a creare opere?
Al liceo ho sempre disegnato molto, così ho deciso di studiare arte a Ginevra e durante la formazione ho iniziato a creare le prime opere. La formazione mi ha fatto un po’ allontanare dal disegno, poiché mi ha spinto a usare la carta in modo diverso.
Sin dalla prima esposizione (“La gran secca” 2012) uno dei materiali protagonisti delle tue opere è la carta. Che materiale è per te?
Dato che ho sempre disegnato tanto, la carta per me è stata dapprima una superficie di proiezione, bidimensionale. Con il tempo, seguendo l’idea di vedere le cose in modo diverso, ho iniziato a usarla in modo plastico, piegandola, strappandola e aggiungendo colle per farne cartapesta, rendendola quasi argilla. Da superficie di proiezione è quindi diventata per me materiale di proiezione, tridimensionale.
Le tue opere ci interrogano sull’identità di quello che vediamo. Secondo te, quello che vediamo è realmente quello che appare?
Quello che vediamo è sempre una interpretazione soggettiva. Mi piace molto lavorare sulla differenza tra quello che appare e quello che è, per questo spesso realizzo lavori che imitano un materiale. È come mettersi la pelle di qualcos’altro. Per esempio, un’opera realizzata in legno e coperta di disegni o di cartapesta; non si sa bene cosa si cela dietro l’apparenza.
Le tue opere suggeriscono oggetti e simboli dall’aspetto familiare, posti in una collocazione insolita (“I piedi nel cemento” 2021, “Soft Core” 2020). Com’è nata questa idea?
Con “I piedi nel cemento” ho messo in contatto tra loro oggetti trovati in posti diversi, forati e collegati tramite un cavo, creando una ghirlanda di nuove connessioni. Con “Soft Core” tento di evocare dei simboli attraverso elementi figurativi che ricordano qualcosa: non sono chiaramente riconducibili, né si sa da dove vengono, ma sono legati insieme su un telaio di acciaio. L’idea è sia di estrapolare gli oggetti dal loro contesto, facendo loro assumere un nuovo valore, sia di creare un significato complessivo nuovo emergente dalla composizione di diversi oggetti. Credo che l’intento di tantissime artiste e artisti sia di trovare un nuovo modo di guardare le cose, e di soffermarsi su nuovi significati.
Alcune delle tue opere sono installazioni ambientali in cui il pubblico può interagire. Quale stato d’animo desideri suscitare nel pubblico?
Usando la carta in modo plastico ho iniziato a considerare lo spazio o le sale in cui lavoro in modo diverso: la disposizione in una sala diventa una specie di foglio di carta tridimensionale. Lavori come “La gran secca” o “Andererseits” permettono di entrare in modo fisico nell’opera, confrontarsi, essere parte di essa, della composizione. Desidero quindi suscitare una sorta di sorpresa.
Quest’anno hai ricevuto il Premio Manor Ticino e per questa occasione è in corso una tua esposizione al MASI, dal titolo “e spesso intendo sempre”. Cosa significa per te ricevere questo riconoscimento? Quali opere potremo vedere al MASI?
Ha significato molto ricevere questo premio: per me spesso il lavoro dell’artista è poco gratificante – si lavora molto, si vende poco o non si riesce bene a viverne. Esporre in uno spazio museale e avere un intero piano tutto per me è riconoscimento importante e una grande emozione.
Al MASI sono esposti solo lavori nuovi – a parte due lavoretti piccoli. Uno di essi riprende il percorso di “I piedi nel cemento”: costruito con 250 oggetti ritrovati, avvitati su un muro del corridoio seguendo un pattern geometrico, come una sorta di tappezzeria. Ci sono anche sculture a muro in cartapesta, mentre per la prima volta mostro un video, che riprende dei piccoli organismi che mangiano legno proveniente da scavi archeologici in Svizzera, consumando quindi la storia svizzera. Ci sono anche due disegni di grande formato in gesso su carta che rappresentano due ginocchia – di solito non espongo i miei disegni, li tengo per me. Infine, l’ultima sala è un sequel di “Soft Core”: un telaio con cavi di acciaio sostiene diverse figure di cartapesta.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Prima di tutto una bella vacanza, guardare l’arte e non farla. In primavera sono invitato alla triennale di arte di Bex, che ha luogo in un parco privato che ogni tre anni viene aperto al pubblico. Realizzerò quindi un’opera nello spazio aperto, con materiali che resistano alle intemperie. Un bel progetto a cui partecipare, e una nuova sfida.
Lucas Herzig incontra il pubblico il 02.11, dalle 18:30 alle 20:15, allo Studio Foce. Entrata libera, fino a esaurimento dei posti disponibili. Il 02.11 dalle 17:15 alle 18:00 Visarte organizza al MASI una visita di gruppo alla mostra di Herzig dalle 17.15 alle 18, con ingresso libero (massimo 25 partecipanti).
Maggiori informazioni: foce.ch