Intervista a Marco Scorti, artista

Marco Scorti, artista luganese classe 1987, attualmente vive nel canton Vaud e lavora tra la sua città d’origine e Ginevra, luogo in cui si è laureato presso l’Haute École d’Art et Design (HEAD) nel 2013. La sua passione e il suo talento hanno riscosso così tanto successo che è stato incluso tra i dieci artisti svizzeri con meno di trent’anni, ricevendo nel 2014 il Premio Kiefer-Hablitzel e nel 2016 il Premio Culturale Manor.
05 Ottobre 2021
di Silvia Onorato
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Il suo stile artistico è ciò che lo contraddistingue: una pittura che vede come protagonisti luoghi anonimi che fanno parte della quotidianità circostante l’urbanizzazione. Un viaggio che parte da vista e mente dell’artista, fino a diventare una narrazione misteriosa nella quale l’uomo è del tutto assente.  Le sue opere possono essere ammirate in numerose collezioni pubbliche e private, quali: Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano; Credit Suisse Collection; BNP Paribas Switzerland Foundation; Bereich Kultur, Winterthur; Fonds Municipal d’Art contemporain de Genève (FMAC); BancaStato (Ticino).

Buongiorno Marco, è un piacere conoscerla e intervistarla. Da dove nasce la sua passione per l’arte?
Come tanti altri bambini, ho sempre molto amato disegnare. Alle scuole medie mi sono appassionato a fumetti e manga, passione che mi ha portato in terza e quarta media a realizzare e pubblicare piccoli fascicoletti originali di fumetti insieme ad alcuni compagni di classe. Al liceo artistico mi sono dedicato all’incisione, una tecnica in bianco e nero: l’interesse per il colore in sé è arrivato solo successivamente con lo sviluppo del mio lavoro artistico, che per i suoi fini necessitava di un approfondimento più accurato nei miei paesaggi atmosferici…

Che cosa la ispira?
Il soggetto delle mie opere sono i luoghi banali, quindi quello che mi ispira sono i paesaggi, che poi cerco di ricordare e di trasferire su carta o su tela. Non vado a cercarli, spesso sono loro a trovare me, per esempio quando sono in treno, in viaggio, o mentre sono impegnato in varie commissioni: certi paesaggi mi ispirano perché presentano tracce che mi intrigano, che si possono interpretare, e su cui posso costruire delle narrazioni. Per esempio, perché quel ramo ha quella forma, o perché quella costruzione si trova in quel posto? A volte prendo spunto anche dal mondo dell’arte, specialmente per dare i titoli ai miei lavori, in quanto mi piace creare dei richiami tra le opere del passato e le mie. Mi interessano tutte le epoche artistiche e in particolare quei pittori che hanno realizzato dei paesaggi: dal romanticismo di Caspar David Friedrich, ad artisti svizzeri come Felix Vallotton e Hans Emmenegger, pittori che hanno dipinto luoghi come quelli che dipingo anche io, con un attento lavoro sui colori e sul dettaglio, oltre ad artisti contemporanei come David Hockney per il suo studio sulla percezione della prospettiva e sui colori delle stagioni, e Peter Doig per il suo sentimento con il paesaggio e la sua interpretazione.

Come mai il protagonista indiscusso delle sue opere è sempre il luogo banale?
Non mi piace dare una precisa localizzazione al paesaggio e renderlo riconoscibile, come accade con le cartoline turistiche.  Mi piace che il paesaggio sia “senza firma”, non ben definito: da un lato, questo permette di concentrarsi maggiormente sulla traccia e sul colore; dall’altro, rappresentare un luogo banale coinvolge lo spettatore, che potrebbe ricordarsi di un altro luogo banale visto in precedenza e dall’atmosfera simile.

Da dove deriva la scelta di non introdurre mai la figura umana?
Senza figure umane l’immagine assume un’aura di mistero in più: lo spettatore si trova davanti a un paesaggio, solo, e non assiste a un’azione o un’interazione tra uomo e natura con una narrazione fissa, bensì vede delle tracce di come l’uno e l’altra si interpongono nel corso del tempo. Lo spettatore può creare possibili narrazioni, immaginando cosa stia succedendo, cosa sia successo e cosa succederà, all’interno del paesaggio dipinto.

“Ciel errant
“Ciel errant”, 2021, gouache e tempera su tavola, 30 x 40 cm


Quali sono le tonalità di colore che predilige nelle sue opere, e perché?
Le tonalità che utilizzo dipendono dalla stagione e dal momento del giorno in cui dipingo, ma anche dalle condizioni atmosferiche e dal tipo di paesaggio – un paesaggio con specchi d’acqua avrà bisogno di certe tonalità, diverse rispetto a quelle di un paesaggio innevato. Non ho tonalità predilette, le uso un po’ tutte: in questo momento sulla mia palette ci sono ben 20 colori (acrilici) diversi.

Qual è l’opera o il progetto di cui si ritiene più orgoglioso?
Anche se sono orgoglioso del mio intero percorso artistico, ci sono alcune opere che considero speciali. Per esempio, diverse gouaches in piccolo formato (24 x 32 cm) mi rendono particolarmente contento, come anche il progetto “m.s.l.m.” (“Metri Sopra il Livello del Mare”): 4 tele di 4,8 metri l’una, ciascuna composta da 12 tasselli, modulabili e modificabili in modo che siano sempre diversi ogni volta che vengono esposti. Prima di ogni esposizione dialogo con il curatore e decidiamo come modificare i tasselli; in seguito, se trovo le sue osservazioni coerenti, opero le modifiche, ridipingendo la tela. In questo modo l’opera “vive”, evolve nel corso del tempo; il mio desiderio è di svincolare l’arte dalla materialità, in contrasto con un certo feticismo dell’opera d’arte finita, consacrata e completa.

Secondo lei, cosa l’ha portata ad essere premiato nel 2014 e nel 2016?
Oltre al talento, penso che vengano premiati la coerenza nella produzione artistica e l’impegno. A volte vincere è una roulette, poiché dipende molto dalla giuria di curatori e storici dell’arte che assegnano i premi.

Qual è il suo obiettivo o aspirazione futura?
Ho sempre avuto tanti obiettivi, non uno in particolare. Attualmente mi piacerebbe fare delle residenze d’artista. Esse sono importanti per trovare nuovi modi di interagire nel settore culturale. Di progetti pittorici ne ho tanti, aspettano solo di essere realizzati, mentre l’anno prossimo è prevista una esposizione collettiva a Zugo, oltre a un progetto “in situ”  nell’ambiente pubblico.

Che impatto ha avuto, in termini professionali, il periodo storico che stiamo vivendo?
Dal punto di vista professionale, con gallerie e musei chiusi, le occasioni di contatto e di visibilità si sono ridotte. A livello di ispirazione e creazione di opere, ho proseguito per la mia strada: normalmente lavoro da solo in atelier, e ho bisogno di tranquillità, condizioni che la pandemia non ha modificato. Di sicuro mi è mancato lo scambio di idee con amici e colleghi artisti: spesso è dalla discussione fuori dall’atelier che provengono nuove belle ispirazioni – non solo arricchenti dal punto di vista artistico, ma anche per lo sviluppo personale. 

© Muriel Hediger, allestimento Mostra “L’oscurità è il silenzio della luce” (2021) con Tonatiuh Ambrosetti, Galleria Daniele Agostini
© Muriel Hediger, allestimento della Mostra “L’oscurità è il silenzio della luce” (2021) con Tonatiuh Ambrosetti, Galleria Daniele Agostini


Perché è importante l’arte per lei?

Per me l’arte è importante perché mi fa stare bene con me stesso: è un modo per creare qualcosa nella sua interezza, dall’inizio alla fine, seguirne l’evoluzione e percepire come anche il mio modo di vedere le cose evolve insieme a essa. Per me è una parte fondamentale della vita, della mia evoluzione anche come persona, dei miei interessi.
In ogni caso, secondo me l’arte dovrebbe essere importante per tutti, nelle sue numerose e diverse declinazioni come musica, cinema e teatro.

Se potesse rinascere, chi o cosa vorrebbe essere e perché?
Penso che avrei approfondito lo studio di uno strumento musicale (suono il trombone e l’ocarina italiana), e forse sarei diventato musicista – la musica è l’altra forma d’arte che mi fa stare bene. Altrimenti, dato che mi interessano la natura e la geografia, avrei fatto una professione inerente a questi campi.

Se le fosse data l’opportunità di trasferirsi all’estero e ricominciare una nuova vita, partendo da zero, dove andrebbe?
Non penso che mi allontanerei dall’Europa: penso in Germania o in Inghilterra, due paesi che mi affascinano anche dal punto di vista artistico e creativo, e dove spero di fare delle residenze d’artista in futuro.

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