“Così asettica e piena di design“ – Milano nell’Hip hop e l’Hip hop a Milano

“La mia città è così contemporanea, moderna, dinamica, veloce” così la descrive Marracash in “Sushi e Cocaina”. Alla scoperta della scena Hip hop meneghina, pioniera in Italia di una sottocultura dal vocabolario americano, in attesa del concerto di Guè il 29 gennaio allo Studio Foce.
20 Gennaio 2022
di Silvia Onorato
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Premessa Per inquadrare l’Hip hop italiano, occorre guardare alla genesi del fenomeno negli Stati Uniti d’America. “Hip hop” è un termine dalle origini dibattute che designa una sottocultura nata nella seconda metà degli anni ’70 negli Stati Uniti – più precisamente nella città più multiculturale, New York. Un fenomeno urbano nato dalle strade di Bronx e Harlem, quartieri dove giovani afroamericani, latinoamericani e provenienti dai paesi caraibici (tra tutti, la Giamaica), fondono la musica delle loro culture di provenienza con il funk, il soul e la discomusic degli anni ‘70. Il fenomeno prende forma attraverso le feste di quartiere (block parties), momenti di aggregazione durante i quali i DJ propongono musica contemporanea su vinile, introdotti da “maestri delle cerimonie” (MC) attraverso giochi di parole rapidi e arguti – le prime forme di rap; inoltre, i partecipanti alle feste inventano un nuovo modo di ballare, la breakdance, ed esprimono visivamente il proprio desiderio di emergere tramite la tecnica dei graffiti.
A cavallo tra i decenni il fenomeno si consolida: si formano delle vere e proprie compagnie (crew), i DJ sperimentano con la manipolazione dei dischi (la tecnica del turntablism) e i rapper compongono testi sempre più elaborati in cui vengono trattati diritti civili e questioni sociali, come anche le difficoltà legate alla vita nei quartieri popolari di una metropoli. A partire dagli anni ’80 il fenomeno Hip hop si diffonde in tutti gli Stati Uniti, culminando all’inizio negli anni ’90, momento in cui da un lato vengono introdotte grandi innovazioni tecniche e stilistiche, e dall’altro diventa un fenomeno pop.

Scena milanese Milano è la città italiana che negli anni ’80 più si avvicina al sogno americano: crocevia economico europeo, è sede di istituzioni con un profilo internazionale e accoglie una grande varietà di etnie e culture diverse. Il capoluogo lombardo si trova a essere così il luogo privilegiato per la nascita della scena Hip hop in Italia: i giovani adottano il vocabolario americano senza tradurlo e dai quartieri di periferia convergono nel centro città. Luogo di incontro di rappers, breakers e writers milanesi è il Muretto, un tratto di strada tra corso Vittorio Emanuele e largo Corsia dei Servi – fermata della metropolitana San Babila: sulla pavimentazione a triangoli bianchi e rossi si sfidano in gare di rime e mosse di breakdance, e sulle loro improvvisazioni costruiscono la scena milanese. Negli anni infatti si formano collettivi e scuole; vengono fondati studi di registrazione indipendenti dove prendono vita collaborazioni e scambi tra DJ, rappers e produttori con più esperienza e le nuove leve.
Come a New York, inizialmente l’Hip hop si configura come strumento di denuncia sociale apprezzato anche nei centri sociali e nei circoli alternativi: i temi principali sono la corruzione politica e la malavita, la denuncia sociale, la droga, il finto perbenismo. Come New York, la città è sfondo imprescindibile delle storie che vengono raccontate: numerosi sono i ritratti di Milano che vengono fatti dai rappers, contraddistinti da sentimenti contrastanti e da un forte senso di appartenenza al proprio quartiere d’origine.
Se la scena milanese si forma già negli anni ‘80 con Bassi Maestro, DJ Skizo e DJ Enzo, è negli anni ’90 che conosce il suo periodo d’oro. Da un lato, alcuni esponenti del rap milanese fanno il loro ingresso nel mainstream: nel 1993 l’album “Strade di Città” degli Articolo 31 entra nella classifica italiana degli album e vende oltre 90.000 copie – ai tempi un record per il genere – e il gruppo di J-Ax e DJ Jad diventa un riferimento destinato a durare fino agli anni 2000. Dall’altro, fiorisce un panorama underground di spicco a livello italiano: Dargen D’Amico, Guè Pequeno e Jake La Furia formano le Sacre Scuole e nel 1999 pubblicano l’album “3 MC’s al Cubo”. Dopo lo scioglimento delle Sacre Scuole nel 2002, Jake La Furia e Guè Pequeno formano i Club Dogo insieme a Don Joe; l’anno successivo pubblicano “Mi Fist”, diventato un classico dell’Hip hop italiano. Altro classico del genere è “L’alba” del duo La Crème, formato dal rapper Jack the Smoker e dal beatmaker Mace della crew Spregiudicati. I primi anni del nuovo millennio producono anche la prima gang italiana, la Dogo Gang: un collettivo composto da Club Dogo, Vincenzo da Via Anfossi, Marracash, Deleterio, DJ Harsh, Emi Lo Zio e Ted Bee; frutto delle collaborazioni sono il mixtape “Roccia Music I” e l’album “Benvenuti nella giungla”. Nel 2011 Guè Pequeno e DJ Harsh fondano l’etichetta “Tanta Roba”, sotto la quale si riuniscono non solo rappers milanesi, ma di tutta la scena italiana. Contemporaneamente, emerge un nuovo filone, chiamato trap: più lontano da temi sociali e di denuncia, si concentra su rivalsa, soldi, droga, sesso e grandi marchi. Milanesi sono Sfera Ebbasta, Vegas Jones, Ghali, Rkomi, Vale Pain, Rondo e Sacky.

Milano in rime
– Nerone, “EMME I
– Bassi Maestro, “WLKM2MI
– Marracash, “Sushi e Cocaina
– Club Dogo feat Cor Veleno, “Milano chiama, Roma risponde

Hai tempo? Scopri di più
– “Numero Zero” (2015), documentario di Enrico Bisi sulla scena milanese
– “Storia ragionata dell’hip hop italiano” (2010), libro di Damir Ivic

Voglia di Hip hop milanese? 
Il 29.01 Guè è allo Studio Foce con una Exclusive Session per presentare il suo nuovo album “GVESUS”.
Maggiori informazioni su foce.ch

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