Jonas Marti (1986) è giornalista alla Radiotelevisione svizzera, dove si occupa di attualità internazionale e cultura. Per il Telegiornale è stato più volte inviato speciale in Medioriente, compiendo reportage dall’Iraq, dalla Turchia, dal Libano, da Israele e dai Territori Palestinesi. Ha inoltre ideato le Meraviglie della Svizzera, un format televisivo che vuole far scoprire al grande pubblico luoghi e vicende curiose che caratterizzano la storia elvetica. Laureato in lettere e storia a Bologna, collabora con riviste e giornali, dove scrive soprattutto di storia locale. Con “Lugano la bella sconosciuta”, Jonas Marti getta un nuovo sguardo su un territorio che ha molto da raccontare.
Nel libro “Lugano la bella sconosciuta” si scoprono tanti aspetti storici e curiosità di Lugano. Ci racconti com’è stato scrivere il libro?
È stato un viaggio di esplorazione, anche per me che sono nato e cresciuto a Lugano. Tante cose le ho scoperte strada facendo, tra un libro e l’altro in biblioteca, passeggiando per la città con lo sguardo rivolto verso l’alto – spesso infatti quando siamo in una città che conosciamo camminiamo con lo sguardo in orizzontale, mentre quando andiamo in vacanza alziamo la testa e cambiamo prospettiva. Il mio è stato un viaggio tra i libri condotto da turista a casa propria, ma con rigore storico. Il senso del libro è proprio rivedere il proprio territorio con un altro occhio, notando dettagli che normalmente sfuggono.
Lugano, bella e sconosciuta; secondo te perché?
E, facendo una riflessione generale, come ti spieghi la tendenza a non conoscere bene il luogo dove si vive e desiderare l’altrove?
“Lugano sconosciuta” perché talvolta per abitudine si dà tutto per scontato: in fondo, quanti luganesi conoscono davvero Lugano – o generalizzando, quanti ticinesi conoscono il Ticino? “Lugano bella” invece perché non solo la città è bella in senso estetico, ma in quanto ricca di profondità storica, densa di tracce che resistono e raccontano il passato nonostante dal secondo dopoguerra ci sia stato un grande rinnovamento edilizio.
La tendenza a desiderare l’altrove ha a che fare con la mente umana, che sogna sempre le terre che stanno oltre la collina. Inoltre, come Svizzera italiana facciamo parte di una nazione che dalla metà dell’Ottocento ha dovuto unire le varie regioni linguistiche imponendo una narrazione svizzera, vissuta di riflesso dal Ticino come storia mitica svizzera. In altre parole, anche a livello di costruzione narrativa identitaria il Ticino si è focalizzato più sulle peculiarità svizzere che su quelle propriamente ticinesi – identità che fino all’Ottocento era vissuta come lombarda. Rispetto ad altre realtà geopolitiche, il Ticino si autoracconta poco.
Riscoprire il proprio territorio e osservarlo con nuovi occhi sono di una più generale riscoperta della sfera locale. Secondo te come si configura in un mondo globalizzato?
Paradossalmente questa tendenza si è generata forse anche a causa del mondo globalizzato. Da un lato tutti possiamo prendere un aereo e girare il mondo, e spesso lo facciamo. Quando poi torniamo a casa nostra apprezziamo ancora di più la nostra cultura, intesa in senso ampio.
Il trascorrere dei secoli ha portato con sé numerosi cambiamenti nella città e nei suoi dintorni. Qual è secondo te l’elemento antico più rappresentativo della città che persiste al cambiamento?
I palazzi e le case vanno e vengono, è sempre stato così; quello che persiste è la trama urbana, la forma della città, il percorso tracciato da vie grandi e piccole – penso a via Nassa, via Pessina, il nucleo più antico di Lugano che permette di viaggiare indietro nei secoli. A Lugano di antico è rimasto poco, confrontandola per esempio con Bellinzona o con altri luoghi del Ticino dove si possono vedere ancora case dell’Ottocento; inoltre, quello che è rimasto spesso non è adeguatamente valorizzato, a mio avviso.
Qual è stata la scoperta più sorprendente nello scrivere il libro?
Solitamente quando si guarda alla storia di una città si ragiona in termini di edifici, statue, eventi, targhe commemorative; ci sono però anche altri testimoni, discreti, che raccontano la storia di Lugano, come le piante, gli alberi. Nel libro racconto del gelso bianco, di cui rimangono due esemplari alla masseria di Cornaredo e di cui nell’Ottocento c’erano migliaia di alberi in tutto il luganese e il mendrisiotto – il gelso bianco dava nutrimento al baco da seta, alimentando una industria molto diffusa al tempo, traccia interessante dell’economia del passato. Un altro albero a cui penso è la sequoia gigante in Riva Caccia, piantata a metà 1800 da Abbondio Chialiva, un carbonaro italiano che dopo aver fatto fortuna in California ha costruito a Lugano la sua villa con giardino. Un essere vivente nato dall’altra parte del mondo che prospera sul lungolago di Lugano – una testimonianza monumentale che già nell’Ottocento la città era un crogiolo di popoli e di movimento.
Jonas Marti presenta “Lugano la bella sconosciuta” il 31.08 alle 18:00 presso il Boschetto del Parco Ciani, nel contesto della stagione estiva.
Maggiori informazioni: luganoeventi.ch