“Il più alto potenziale di vita” – Intervista a Tommaso Giacopini

Il 24 e 25 marzo al Teatro Foce va in scena “Dodici metri di apertura alare”, prima assoluta di un testo scritto e diretto da Tommaso Giacopini, drammaturgo, poeta e artista teatrale-musicale.
21 Marzo 2023
di Silvia Onorato
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© Elizabeth La Rosa

“Dodici metri di apertura alare” racconta la storia di Sofia, compagna di Leonardo, la cui vita viene stravolta da un evento tragico. La morte della madre arriva per Sofia come un meteorite, che schiantandosi apre una voragine nella sua vita, lo spazio tra un universo e il suo universo precedente, un varco da cui emergono i mostri antichi delle sue paure.
“Dodici metri di apertura alare” è uno spettacolo scritto e diretto da Tommaso Giacopini e nasce dal percorso di formazione in scrittura teatrale promosso da Luminanza – Reattore per la drammaturgia contemporanea della Svizzera Italiana. Realizzato in collaborazione con il LAC, lo spettacolo vede la sua prima assoluta al Teatro Foce nel contesto della rassegna Home.

Chi sono i protagonisti dello spettacolo?
La protagonista è Sofia, affiancata da Leonardo, che è il suo compagno di vita, ma anche la figura che l’accompagna attraverso le fasi del lutto; talvolta Leonardo si trasforma nel padre, altre volte nel figlio non nato. Attraverso le diverse figure in cui Leonardo si trasforma, Sofia si può confrontare con la propria morte e con la propria discendenza.

Nello spettacolo le dimensioni micro e macro coesistono. In che modo?

Come punto di partenza in fase di scrittura mi sono ispirato dal ciclo di creazione e distruzione dell’universo. Ho cercato quindi di riflettere questi enormi moti all’interno del breve corso di una vita umana. Si dice che l’estinzione della megafauna in tempi preistorici abbia portato alla scomparsa di circa nove decimi dell’intera fauna mondiale. Mi sono domandato quali eventi all’interno di una vita umana possano portare a una distruzione di tale portata, e come si possa in seguito rinascere.

Lo spettacolo parla di maternità, paternità, ma anche di “figlità”. Cosa significa? 
“Figlità” era il titolo di un articolo che ho letto qualche tempo fa, da cui ricordo una citazione interessante: “c’è qualcosa di terribile nel dover ammettere che per la propria esistenza sono dovute esistere altre due persone”. L’esser figlio, il doversi trovare costretti ad essere grati verso i propri genitori per il solo fatto di trovarsi al mondo, è una condizione inevitabile, al contempo spaventosa e stupenda. Si parla spesso di maternità e di paternità, meno spesso dell’esser figlio.

“Dodici metri di apertura alare” nasce dal percorso di formazione in scrittura teatrale promosso da Luminanza. Che esperienza è stata?
È stato fondamentale per il mio percorso: eravamo otto studenti – tra di noi ci chiamavamo “luminanti” – tra cui c’è stato un grande scambio. Questa esperienza ha permesso a noi giovani scrittori di entrare in contatto con la realtà drammaturgica europea, qualcosa che in Ticino si sperimenta poco. Attraverso incontri con diversi autori, artigiani della scrittura, sono venuto a conoscenza di cosa succede a livello europeo in ambito drammaturgico. Questo mi ha dato tanta libertà e fiducia; è stata un’apertura di punti di vista: per scrivere non occorre per forza seguire canoni tradizionali.

Di chi sono i “Dodici metri di apertura alare”? Perché dodici?
Sono di Sofia, ma potrebbero essere di ogni persona: rappresentano il più alto potenziale di vita – siamo creature maestose, nel nostro piccolo -, e al contempo questa potenzialità spaventa. Quando si hanno dodici metri di apertura fa paura spiegare le ali.
Dodici sono i metri di apertura alare della creatura più grande che abbia mai volato.

“Dodici metri di apertura alare” il 24 e il 25.03 alle 20:30 presso il Teatro Foce, nel contesto della rassegna Home, in collaborazione con il LAC.
Maggiori informazioni: foce.ch

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