Intervista a Ioana Butu, attrice, burattinaia e cantante

Ioana Butu è attrice, burattinaia e cantante. Originaria della Romania, Ioana arriva in Svizzera nel 1994 e frequenta la Scuola Teatro Dimitri per tre anni, ottenendo il diploma nel 1997, per poi far parte della Compagnia Teatro Dimitri come attrice.
28 Settembre 2021
di Silvia Onorato
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© Stefano Spinelli

Dopo numerose esperienze presso compagnie di circo teatro (Circo Balloni e Clowns & Kalorien) e band musicali (tra cui Dodo Hug & Band) in Svizzera interna, torna in Ticino nel 2003 e collabora con il Teatro Paravento, e poi come animatrice-marionettista per il programma d’intrattenimento per bambini “Colazione con Peo” della RSI. Partecipa, successivamente, a programmi culturali come attrice e dal 2010 allestisce i propri spettacoli per bambini e adulti. Insegna l’arte teatrale in Ticino e all’estero lavorando con persone di diverse fasce d’età, dai bambini agli adulti: i suoi corsi e le sue lezioni coprono i diversi aspetti dell’arte teatrale, dagli spettacoli di burattini al teatro d’ombra, dalle maschere al vocal coaching. Ioana, insieme a Daniele Dell’Agnola, è membro fondatore del “Duo Plus!” e fa parte dell’associazione Franca che si occupa dei diritti dei bambini.

Buongiorno Ioana, la ringrazio per la disponibilità. Tra attrice, burattinaia e cantante, quale arte sente più sua?
Tutte e tre, e provo a integrare queste tre categorie in tutti i miei spettacoli. Non riesco sempre a mettere i burattini negli spettacoli teatrali per adulti (si pensa erroneamente che gli spettacoli con i burattini siano esclusivamente per bambini), ma ci riuscirò, è uno dei miei obiettivi. Ritengo infatti che se il teatro è un linguaggio universale, il teatro dei burattini lo è ancora di più.

Che cosa la ispira nella sua arte?
Prendo ispirazione da tutto quello che mi circonda. Mi lascio ispirare molto dai bambini, che mi danno molte idee per gli spettacoli per adulti, oltre a quelli della loro età. Il contatto con loro mi aiuta a lasciar correre l’immaginazione: sono sempre attenta alle richieste dei più piccoli, perché sono più spontanee; provo a parlare nel loro linguaggio, e a portarlo poi sul palco.

Insegna l’arte teatrale a persone di diverse fasce d’età. Ci racconta del percorso di apprendimento e formazione?
Il punto di partenza sono i giochi teatrali, tipici della formazione di un attore, utili per dare una base soprattutto ai bambini. Con loro è molto più semplice che con gli adulti perché si mettono subito in gioco, non hanno troppi pensieri o domande sul perché del gioco e lo affrontano come un qualsiasi altro gioco. Poi, dai giochi sviluppo l’arte teatrale: lavoro tanto con le emozioni, con l’immaginazione, con la voce. Con i bambini più grandi realizziamo uno spettacolo: scriviamo insieme una storia e la mettiamo in scena, attraversando tutte le fasi della produzione di uno spettacolo teatrale. I bambini sono sempre contenti di andare sul palco, scoprendo l’emozione – e quella specie di paura – di esibirsi. Sono sempre entusiasti e per loro si apre un mondo: li incoraggio a proseguire con nuovi corsi di teatro e altri spettacoli.
Anche con gli adulti il punto di partenza sono i giochi teatrali: bisogna ricordarsi infatti che ognuno ha un bambino dentro di sé. Quando riescono a lasciarsi andare, scoprono un’arte che serve in tanti ambiti della vita, specialmente quando si tratta di parlare in pubblico. Anche con gli adulti al termine del corso scriviamo un copione e realizziamo uno spettacolo.

Dalla Romania alla Svizzera: dove si sente più a casa?
In questo momento mi sento a casa qui, dove ho tanti amici; la mia famiglia e le mie radici sono però in Romania. È buffo: quando rientro in Romania mi considerano “la straniera”, e anche qui sono comunque una straniera per le mie origini. Non posso dire di appartenere a un luogo o a un paese, mi hanno definita globetrotter anni fa perché mi sposto spesso – è un tipo di vita a cui non rinuncerei mai, mi piace troppo.

Ci racconta delle differenze in campo teatrale tra i due paesi?
Ci sono molte differenze, specialmente nel modo di reagire degli spettatori. In Romania al termine dello spettacolo c’è l’usanza di alzarsi in piedi in segno di rispetto e di ringraziamento rivolto ad attori sul palco e maestranze dietro le quinte, oltre all’applauso finale. È un’usanza che non ho ritrovato in altri paesi.
I bambini, invece, hanno delle reazioni simili. Forse in Romania sono più abituati ad andare a teatro: poiché tutte le domeniche ci sono spettacoli di burattini, i bambini vengono portati spesso e si lasciano coinvolgere subito dalla rappresentazione. Qui invece bisogna conquistare la loro attenzione, ma dopo qualche primo minuto in cui si trattengono, si ambientano e si lasciano trasportare dalla storia.

Particolare attenzione è stata richiamata dallo spettacolo teatrale “Natasha ha preso il bus” , poiché tratta di temi attuali quali la terza età e le migrazioni. Vuole raccontarci il suo punto di vista, prendendo come riferimento lo spettacolo?
Il tema centrale di questo spettacolo è il mestiere delle badanti. Da parte mia non ne sapevo molto, non avendo mai avuto un contatto diretto con persone che fanno questa professione. Mi sono per la prima volta avvicinata alla tematica leggendo il racconto di Sara Rossi, “Questa mamma a chi la do”, che contiene anche interviste ad alcune badanti: mi sono profondamente emozionata e ho subito deciso di partecipare al progetto. La forma iniziale era quella di una lettura con musica. In un secondo momento è diventato uno spettacolo teatrale, prodotto dal Teatro Sociale di Bellinzona e con regia di Laura Curino. Sono convinta che si debba continuare a parlare delle badanti e portare in scena la loro vita, le situazioni che vivono; ho anche conosciuto alcune delle badanti intervistate da Sara, e interpretarle sul palco è stato ancora più bello per me. In generale, il teatro è una via diretta per arrivare alle persone, emozionandole, e “Natasha ha preso il bus” è uno spettacolo molto emozionante; questo vale per chi è sul palcoscenico (me e Daniele dell’Agnola), ma anche per gli spettatori. Dopo lo spettacolo spesso degli spettatori mi raccontano di esperienze che hanno avuto con le badanti.
A proposito di migrazione e viaggi, ho realizzato nel 2010 uno spettacolo, intitolato “Îmbrăţişare- Abbraccio ”. È uno spettacolo tragicomico che racconta una parte della mia storia personale: parla del mio vissuto in Romania e della mia esperienza del comunismo visto con gli occhi di bambina, fino alla sua caduta quando avevo 18 anni; racconta anche la decisione di partire lasciando i miei affetti per un paese che non conoscevo. Lo spettacolo include anche delle canzoni popolari romene, tra due ricordi, cantate e suonate insieme a Daniele dell’Agnola. Anche in questo caso la reazione dello spettatore alla fine è di raccontare la propria storia. Questo mi rende molto felice, poiché costituisce il mio obiettivo: emozionare le persone e farle sentire libere di raccontare i propri ricordi, a volte per la prima volta.

Di quale progetto o esibizione è particolarmente entusiasta?
Il mio prossimo progetto mi appassiona molto: sto preparando un nuovo spettacolo, il cui tema è la figura femminile nei secoli. Sono ancora nel processo di ricerca, e mi entusiasma perché sto scoprendo le storie personali dietro a celebri figure storiche. Passando in rassegna le vite delle donne si scoprono tante sfaccettature che ogni donna ha dentro di sé: quella più bugiarda, quella più crudele, quella che ama troppo, quella santa. È un progetto ancora in forma scritta, ma non vedo l’ora di portarlo in scena.

Che impatto ha avuto, in termini professionali, il periodo storico che stiamo vivendo?
La cosa bella di questo periodo brutto è che mi sono riscoperta: ho avuto tempo per me stessa e per pensare al nuovo spettacolo, ma anche per nuove attività a cui desideravo dedicarmi da un po’. Per esempio, nelle prime tre settimane di lockdown ho imparato a suonare l’ukulele, uno strumento che mi era stato regalato dalla mia migliore amica e che non avevo mai avuto il tempo di imparare a suonare. Ho anche scoperto un po’ di più la tecnologia: pur non essendo molto pratica ho imparato a realizzare dei video-racconti destinati a spettatori di tutte le età, grazie a collaborazioni con Daniele dell’Agnola e altri artisti, per soggetti e musica. Per me è stato un periodo molto creativo – a parte gli eventi più tristi legati alla pandemia.

A suo parere, la città di Lugano può essere considerata propensa e aperta all’ampliamento e approfondimento culturale?
Sicuramente, a partire dal LongLake Festival: questa estate sono andata a vedere tanti spettacoli, concerti, eventi che mi hanno aiutata anche dal punto di vista professionale. È sempre interessante vedere il lavoro degli altri, farsi ispirare, prendere spunti, e anche essere “pubblico” con altre persone, pur mantenendo il distanziamento. Tutte ciò che ho visto durante il LongLake mi ha fatto solo bene. Più in generale, tutte le cose che succedono a Lugano mi entusiasmano.

Una battuta finale per i nostri lettori online?
Andate a teatro: farà bene a voi e anche a noi!

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