“Un grande rap show” – Intervista a Egreen

Rapper italo-colombiano pilastro dell’Hip hop underground italiano, Egreen è ospite in concerto il 12 novembre con DJ Shocca allo Studio Foce nell’ambito della rassegna RACLETTE per presentare il suo ultimo album.
03 Novembre 2022
di Silvia Onorato
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Egreen è un pilastro dell’Hip hop underground italiano. Italo-colombiano, nato a Bogotà, cresciuto negli Stati Uniti, a Ginevra e infine in Italia, tra Busto Arsizio e Milano, Egreen ha un passato multiculturale che gli ha permesso di confrontarsi con stili musicali variegati. Tra il 2002 e il 2009 pubblica diversi progetti posizionandosi come “unsigned hype” nell’underground locale della provincia a nord di Milano e Varese: ha partecipato a diverse jam nella scena Hip hop, fino ad arrivare al suo primo demo nel 2002 con Toni Alti e DJ Sen, a una raccolta di pezzi inediti nel 2006 intitolata “F.U.R.S. (Frustrated Unreleased Rap Shit)” e due mixtape tra il 2010-2011. Nel 2013 pubblica il suo primo disco ufficiale “Il cuore e la fame”, che conta collaborazioni con Mistaman, Bassi Maestro, Primo Brown, Ghemon e DJ Shocca – considerato oggi un classico del rap italiano. Nel 2015 pubblica il disco “Beats & Hate“ in maniera indipendente, con la piattaforma di crowdfunding Musicraiser raggiungendo una raccolta molto sostanziosa, superando ogni altro progetto simile in Italia. Nel 2016 pubblica il terzo disco ufficiale intitolato “More Hate” e dopo tre tour nazionali si è consolidato come uno dei più talentuosi live performer dei suoi tempi. Continua a produrre e pubblicare EP e album, come per esempio “Entropia 3”, “LO VE” e “OG’s Original Grown Shit”, fino ad arrivare al 2019 in cui ha firmato il suo primo contratto con la major Sony Music, pubblicando successivamente a febbraio 2020 l’album “Fine primo tempo”, poco prima dell’emergenza sanitaria mondiale Covid-19. A febbraio 2022 torna in Italia dopo aver vissuto un anno a Bogotá (Colombia), con un nuovo album che prende il suo nome proprio: “Nicolás”.

Usando le tue parole, “Nicolás” “è un disco personale, che parla d’amore, esorcizza il male”. Il disco che racconta due anni travagliati della tua vita. Cosa è successo? Come scriverne ha aiutato a esorcizzarlo?
Da un lato la pandemia, che ha messo in ginocchio l’industria della musica dal vivo che per un artista come me rappresenta la prima fonte di sostentamento – mi è letteralmente venuto a mancare il pane in tavola. Va considerato inoltre che un secondo prima dell’inizio della pandemia avevo pubblicato un disco in major su cui c’erano un progetto, aspettative, operazioni di promozione pronte, che la pandemia ha bloccato. Dall’altro a fine 2020 sono dovuto partire per la Colombia per motivi familiari, e questo ha peggiorato ulteriormente le cose.
Per chi scrive in una certa maniera l’effetto è di self therapy, una sorta di autoterapia che aiuta a razionalizzare quello che succede e metterselo alle spalle in modo sano; farne musica significa esprimerlo e farlo arrivare alla gente; e, anche se ognuno interpreta le cose a modo suo, creare un legame per sentirsi meno soli.

“Nicolás” è un disco interamente indipendente, di cui hai curato in prima persona ogni aspetto. Che percorso è stato?

È stato un percorso che sono riuscito a portare a termine grazie a una esperienza iniziata nel 2013. Sono sempre stato un artista indipendente e nel corso degli anni mi sono avvalso di una squadra di persone che, attraverso anche errori, fallimenti e litigi, mi hanno insegnato in cosa consiste la musica, che non è solo arte ma anche business: cosa significa pubblicare un prodotto discografico, dalla burocrazia e SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori, ndr), allo stampare CD e merchandising, fino ad autoprodurre o co-produrre date di presentazione dell’album – l’aspetto indubbiamente più complesso. Tutto questo è possibile se hai una squadra di persone che credono nel tuo progetto, che hanno conoscenza del mercato, che mettono a disposizione le loro risorse e i loro contatti in favore di una operazione indipendente, che sanno lavorare bene; self-made infatti significa indipendente, ma non significa che non c’è nessuno con me – spesso nella narrativa del rap questa etichetta viene usata per dire “io, io, io”, ma chi ha successo non è mai solo. 

La copertina del disco è una veduta di Bogotà; nelle tue canzoni citi spesso Milano. Cosa rappresentano per te le due città?
Nel mio percorso formativo come essere umano Milano è sempre stata la meta: da preadolescente abitavo a 35 km di distanza, quindi non era lontana e ci andavo spesso; era la metropoli, la città dove tutto accadeva, dove il rap accadeva. All’inizio però, più ci andavo e tornavo a casa in provincia, più sembrava diventare irraggiungibile. Quando poi è subentrata la musica in modo serio, le cose sono cambiate: mi sono trasferito a Milano, e Milano mi ha adottato, è diventata la mia casa, il luogo dove ho tessuto rapporti di vita, di amicizia e di lavoro molto importanti. Milano è il mio pubblico maggiore, e la città che rappresento.
Bogotà è la città dove sono nato, dove sento il mio sangue, e con cui ho un rapporto conflittuale, karmico, sin da quando sono nato. È la città della mia famiglia biologica, è uno squarcio nel mio cuore. Provo emozioni contrastanti nei confronti della città, ma non per questo è meno importante di Milano. Il mio cuore è a Bogotà, la mia testa a Milano.

Hai ripreso l’attività dal vivo, che avevi interrotto nel 2019. Cosa si prova a tornare sul palco?
Sono un rapper operaio per cui nulla è sicuro, quindi non do nulla per scontato. Ritrovarmi al Tunnel di Milano con il locale pieno è stata una bellissima emozione che mi ha ricordato il perché faccio rap, e che la gente c’era ancora ad aspettarmi. In realtà sul momento non l’ho vissuta bene, perché ero talmente impegnato da tutto, avevo in testa le successive date da fare.  Non sono una persona che si gode i momenti, e non vedo oltre il mese prossimo. Quel che è certo è che per ora pare ci sono motivi per continuare: è andata come doveva andare, se fosse andata male avrebbe significato che avrei dovuto cambiare le cose.

A Lugano sarai in concerto con DJ Shocca, a cui ti lega un rapporto professionale e di amicizia. Cosa significa per te fare un live con lui?  
Ci siamo conosciuti bene nel 2011 quando sono entrato in Unlimited Struggle, etichetta con cui ho pubblicato “Il cuore e la fame”, un disco importante per me e per l’underground italiano. Shocca è un professionista che ha fatto la storia, è un produttore leggendario, un grandissimo showman. Ritrovarci dopo anni e riallacciare un rapporto di fiducia è stato bello per me; collaborare con lui per me è un obiettivo raggiunto: siamo affiatati, c’è molta intesa, abbiamo un rapporto che scherzosamente mi piace definire padre-figlio. Il live sarà un grande rap show, uno spettacolo di altissima qualità.

Egreen è allo Studio Foce il 12.11 insieme a DJ Shocca nell’ambito della rassegna RACLETTE.
Maggiori informazioni: foce.ch

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