Cresciuta nel Sud degli Stati Uniti, Kaki King viene introdotta alla chitarra a 4 anni, per poi passare alla batteria. Studia alla New York University insieme al professore di chitarra Bill Rayner; in quegli anni si esibisce in alcuni concerti e fa esperienze di busker nelle stazioni della metropolitana di New York, iniziando a sperimentare diversi modi di suonare la chitarra e generi musicali. La sua abilità nello spaziare dal post-rock alla musica sperimentale, dal jazz al folk fino allo shoegaze ha permesso a Kaki King di collaborare con David Byrne, Marianne Faithfull, Mike Gordan, i Foo Fighters, nonché con Eddie Vedder e Michael Brook nella composizione della colonna sonora del film “Into the Wild”. Kaki King si è esibita anche con orchestre da camera e sinfoniche, tra cui la Detroit Symphony Orchestra e lo String Quartet Ether. A ottobre 2020 ha pubblicato il suo decimo album, intitolato “Modern Yesterdays”: un disco sperimentale che prosegue la ricerca di Kaki King sulla chitarra con inedite accezioni elettroniche. Kaki King esprime la passione per la chitarra anche attraverso spettacolari performance multimediali in cui il suono della chitarra suonata dal vivo viene tradotto da un software in immagini colorate che vengono proiettate sul palcoscenico. Dopo il progetto “The Neck is a Bridge to the Body” (2015), nel 2021 Kaki King ha portato in tour “Data not found”.
Intervista originale in inglese.
Come e quando è nata la tua passione per la chitarra acustica?
Ho iniziato a suonare la chitarra come passatempo quando ero una bambina molto piccola. La musica mi è sempre piaciuta, mi ha sempre attratta, e la chitarra acustica è stata lo strumento attraverso il quale ho imparato la musica. È stato il mio primo amore.
Durante l’adolescenza hai approfondito lo studio della batteria, diventando una batterista esperta. Come ha arricchito il tuo modo di suonare la chitarra?
Suonare la batteria mi ha permesso di suonare la chitarra in modo quasi pianistico. È qualcosa che riesco a descrivere solo ora, dopo anni: la batteria mi ha conferito quella indipendenza che cercavo nell’uso delle mani, nel senso che la sinistra può fare una cosa mentre la destra qualcos’altro di completamente diverso, lo stesso tipo di coordinazione che cercano di ottenere i pianisti. Se si coordinano le mani ritmicamente, si ottiene molto più suono dalla chitarra. Questo ha avuto una profonda influenza sul mio modo di suonare.
Cosa ti spinge a scoprire diverse tecniche e andare oltre l’uso classico dello strumento?
È la chitarra stessa che sembra chiedermi di provare nuove cose, come se mi sfidasse continuamente a fare nuove scoperte. Nel mio spettacolo “The Neck is a Bridge to the Body”, che ho portato in tour per molti anni, ho provato a mostrare al pubblico l’”umanità” della chitarra. La chitarra mi è sempre sembrata antropomorfa.
Da studentessa hai suonato come busker a New York. Come ricordi questa esperienza?
Era appena dopo l’11 settembre, un periodo molto carico di emozione per la città di New York. Quello che ricordo di più è quanto le persone fossero grate di trovare di nuovo musica nella metropolitana. Era un messaggio, ovvero che le cose potessero tornare normali.
Insieme a Eddie Vedder e a Michael Brook hai scritto la colonna sonora del film “Into the Wild”. Qual è stato il punto di partenza?
Sì, eravamo in tanti! Il punto di partenza è sempre guardare il film, in modo da avere tutte le informazioni necessarie: il contesto, il tono, il ritmo. Trovo che scrivere musica per film sia molto più facile, perché sai già dall’inizio come deve suonare.
Negli ultimi anni hai dato vita a progetti multimediali in cui il suono della chitarra viene letto e tradotto da un computer in colori e immagini, che vengono poi proiettati sul palco. Come è nata questa idea?
È stata ancora una volta la chitarra! Mi ha chiesto di fare un passo in più e di proseguire nell’evoluzione del mio modo di suonare, già multitasking: mi ha incoraggiata a esplorare le possibilità legate a software e sensori. So che può sembrare strano, ma è la chitarra a prendere le decisioni nella nostra relazione, non io.
Il tuo ultimo progetto multimediale ha come tema i dati. Qual è il concetto dietro alla performance?
I dati tracciano il profilo di una persona: quegli schemi che le stanno dietro e la accompagnano nel suo muoversi attraverso il mondo, a sua insaputa; si tratta di qualcosa di facile da decifrare. I dati però raramente riescono a comprendere il cuore delle persone: abbiamo tutti dei segreti, e conteniamo delle moltitudini che possono in realtà essere capite e quantificate, se solo ci fermiamo a considerarle attentamente. In “Data not found” uso la voce e la parola per esplorare questo aspetto, sempre sotto la guida della chitarra.
Nel tuo ultimo album, “Modern Yesterdays”, il suono della chitarra acustica è accompagnato da paesaggi elettronici creati dalla sound designer Chloe Alexandra Thompson. Come si crea il dialogo tra due mezzi apparentemente così diversi?
Chloe Alexandra Thompson e io avevamo già lavorato insieme allo spettacolo dal vivo “Data not found”, dove lei era la sound designer. Questa collaborazione ha creato la base per le tracce registrate in “Modern Yesterdays”. Penso che il risultato funzioni bene – Chloe ha un orecchio molto raffinato. Bip elettronici e scatti di suoni non verrebbero tipicamente associati a una chitarra acustica, ma il contrasto e l’atmosfera creano un bell’effetto.
Kaki King presenta il suo ultimo album, “Modern Yesterdays”, allo Studio Foce mercoledì 13.04 alle 21:30.
Maggiori informazioni: foce.ch